Radice

Bertille Bak

19.02.2016 –23.04.2016

Exhibition Views

Works

The Gallery Apart is proud to present Bertille Bak’s first solo show in Italy (1983, Arras, France), an artist already known to the Italian audience for her participation in the exhibition “La voce delle immagini” (Voice of Images) hosted in Palazzo Grassi, Venice, Italy, and curated by Caroline Bourgeois , which brought together the artworks by 27 international artists from the Pinault Collection. Her works have also been exhibited in several public French collections d’Oltralpe, such as FNAC, FMAC Paris, FRAC Collection Aquitaine, FRAC Alsace, FRAC Limousin and FRAC Basse-Normandie.
Radice
, the exhibition’s title purposely in Italian, confirms the artist’s attitude to identify herself with the communities met as her work unfolds, and refers to Bak’s art-making practices as well as to the intrinsic contents of the displayed works selected by the artist along with those that marked her beginnings. Radice refers first of all to Bak’s personal story, originally linked to the small mining town of Barlin in France, which also inspired some of the works on display, a place where Bertille Bak, whose grandfather used to be a miner, established her studio for some years. Radice, therefore, also in collective terms, deals with a deeply rooted territorial presence of the communities the artist seeks out and which become the theme of her poetics. However, radice (i.e. root) obviously recalls its etymology and, therefore, the concepts of uprooting and eradication, which Bak develops referring not only to the people and their stories, but also to the objects and the architectures. The objects shaped by Bak share a common thread that connects everyday life, identity and tradition and take on a new meaning, whether they belong to the category of the objet trouvè or, more often, to that of the object produit. And the architectures, which the artist reproduces in the form of drawings in order to preserve the facades of buildings destined to being demolished. Or ultimately, radice as an evocation of radical, an adjective that perfectly fits the political-social commitment  exuding from the artist’s works.
Bertille Bak pursues indeed a sociological and political, if not ethnological, perspective – as many have remarked. Her works of art are the expression of an operating process and formalisation. The process is based on the artist’s modus operandi as she engages with and shares the life of communities living on the edge of the dominant culture in order to  encourage a non-revolutionary or non-violent reaction, which Bak defines “alternative revolt” against the intolerable decisions that make life harsher for the members of these communities. Formalisation, on the other hand, is the expression of this approach and of the feeling of empathy that the artist  experiences for her travelling companions and that takes the form more of a fairytale than of a documentary.
Bak expresses an art of relationships aimed both at communities whose members are more or less  aware of their identities, and at minorities often forgotten and neglected. During her numerous visits and long stays within the respective communities, Bak builds interpersonal relationships to raise awareness  of the social utility of people and groups. Through the sharing of everyday life, of the study of the territory, the analysis of the social relationships, the culture, the traditions and of the economic organization, Bak takes on the role of a social provocateur putting herself forward as a critical conscience to raise political awareness among her interlocutors. The result is collective portraits with an unconventional twist, often based on the research of individual mythologies, in a determined attempt to preserve the traces of memory. It is not by chance that Bak worked at the Ecole Nationale des Beaux-Arts in Paris as a student of Christian Boltanski.
Bertille Bak’s work includes videos, installations, fabrics and performances that magnify the experiences of the single communities rendering them universal messages. Her personal representation of reality skims but, at the same time, avoids the utopian dimension, and it neither materializes in a politically programmatic vision. Anthropological curiosity, social commitment, political activism and most of all a civic and not romantic use of  the feeling of nostalgia  generate an intermediate interpretation of the reality aimed at affirming the possibility of thinking and defining a different world, and the possibility of imagining alternative social systems by following practices closer more to deconstruction and the consequent reconstruction of reality than to dream and utopia.

The Gallery Apart è orgogliosa di presentare la prima personale in Italia di Bertille Bak (Arras, F, 1983), artista già ammirata dal pubblico italiano in occasione della sua partecipazione a “La voce delle immagini” a Palazzo Grassi a Venezia, mostra curata da Caroline Bourgeois con lavori di 27 artisti della Collezione Pinault, e ben presente in numerose collezioni pubbliche d’Oltralpe, tra cui quelle di FNAC, FMAC Paris, FRAC Collection Aquitaine, FRAC Alsace, FRAC Limousin e FRAC Basse-Normandie.
Radice
, il titolo della mostra volutamente declinato dall’artista in italiano, a testimonianza della sua attitudine a calarsi integralmente nelle comunità che incontra nel dispiegarsi del suo lavoro, fa diretto riferimento tanto alle modalità attraverso cui Bak dipana il suo fare artistico, quanto ai contenuti intrinseci dei lavori esposti, scelti dall’artista anche tra quelli che ne hanno segnato gli esordi. Radice anzitutto in termini di storia personale, inizialmente legata al piccolo villaggio minerario di Barlin, attorno a cui ruotano anche alcune delle opere in mostra, luogo dove Bertille Bak, il cui nonno è stato un minatore, ha avuto per alcuni anni il suo studio. Radice quindi anche in termini collettivi, nel senso di radicamento territoriale delle comunità con cui l’artista entra in contatto e che formano oggetto della sua poetica. Ma radice richiama ovviamente anche l’etimologia e quindi i concetti di sradicare e di eradicare, che Bak sviluppa con riferimento non solo alle persone e alle loro storie, ma anche agli oggetti e alle architetture. Gli oggetti che Bak plasma lungo un asse portante che lega quotidiano, identità e tradizione e che assumono nuovi significati sia che appartengano alla categoria dell’objet trouvè o, più spesso, a quella dell’object produit. E le architetture, che l’artista riproduce sotto forma di disegni per fissare le facciate di edifici destinati a scomparire. O infine, radice come evocazione di radicale, aggettivo che ben si attaglia all’impegno politico-sociale che trasuda dal lavoro dell’artista.
Bertille Bak persegue infatti una visione sociologico-politica se non addirittura, come è stato notato, da etnologa. Le sue opere sono espressione di un processo operativo e di una formalizzazione. Il processo si fonda sul modus operandi dell’artista che si interessa e condivide la vita di comunità ai margini della cultura dominante al fine di stimolare una reazione non rivoluzionaria o violenta, ma che Bak definisce “rivolta alternativa” contro le decisioni intollerabili che rendono difficile la vita ai membri di tali comunità. La formalizzazione è l’espressione di tale approccio e del sentimento di empatia che unisce l’artista ai suoi compagni di strada e si concretizza in qualcosa che si dimostra più vicino alla fiaba che al documentario.
Bak esprime un’arte di relazione rivolta a comunità di persone più o meno consapevoli delle loro caratteristiche identitarie e a minoranze spesso dimenticate o represse. Nel corso di visite e lunghi soggiorni all’interno delle comunità di volta in volta prescelte, Bak costruisce relazioni interindividuali votate a generare consapevolezza dell’utilità sociale di persone e gruppi.
Mediante la condivisione del quotidiano, lo studio del territorio, l’analisi dei legami sociali, della cultura, delle tradizioni e dell’organizzazione economica, Bak si cala nel ruolo di agitatore sociale proponendosi come coscienza critica in grado di produrre consapevolezza politica nei suoi interlocutori. Ne scaturiscono ritratti collettivi colti da un punto di vista eccentrico, spesso basato sulla ricerca di mitologie individuali, in un ostinato tentativo di serbare tracce e di preservare la memoria. Non è un caso che Bak abbia lavorato come allieva di Christian Boltanski all’Ecole Nationale des Beaux-Arts di Parigi.
Bertille Bak interviene con opere video, installazioni, tessuti e performance che amplificano l’esperienza delle singole comunità rendendole messaggi universali. La sua personale rappresentazione del reale sfiora ma nel contempo evita la dimensione utopica, così come non arriva a concretizzarsi in una visione politicamente programmatica. Curiosità antropologica, impegno sociale, attivismo politico e soprattutto un uso civico e non romantico del sentimento della nostalgia producono una interpretazione intermedia della realtà volta ad affermare la possibilità di pensare e definire mondi diversi, che è possibile immaginare meccanismi sociali alternativi seguendo pratiche vicine più alla decostruzione e alla conseguente ricostruzione del reale che non al sogno e all’utopia.

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